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Classificare le scienze umane: il caso filosofia
Seminario Università di Padova. Dipartimento di Filosofia
Padova : 2 febbraio 2007

Principi filosofici nell'organizzazione della conoscenza

Claudio Gnoli (Università di Pavia, ISKO Italia)


Negli anni Sessanta uno dei pionieri delle scienze dell'informazione, Robert Fairthorne, pubblicò due articoli intitolati "The mathematics of classification" e "The classification of mathematics". Anche nel caso di classificazione e filosofia, la relazione di fase può valere in entrambe le direzioni: la filosofia, come ogni disciplina, ha bisogno di essere classificata, ma al contempo è una delle fonti da cui la classificazione attinge.

Come classificare la filosofia (secondo quali faccette, e prese in che ordine) non è una questione semplice, tant'è vero che in diversi hanno trovato insoddisfacente la sua articolazione nelle classificazioni bibliografiche più affermate, come la Dewey. Questo sarà il tema di alcuni interventi della giornata. Qui proverò invece ad accennare che cosa la filosofia possa apportare alla classificazione.

Alla fine degli anni Ottanta è nata, da una costola dell'associazione tedesca per la classificazione (GfKl), l'International society for knowledge organization (ISKO), la cui sezione italiana collabora all'organizzazione del seminario di oggi e annovera diversi dei relatori fra i suoi soci. L'idea dell'ISKO, sostenuta dalla sua fondatrice Ingetraut Dahlberg, è proprio di estendere il tradizionale concetto di classificazione bibliografica a quello più ampio di organizzazione della conoscenza, fondandolo non più soltanto sulle esigenze pratiche dell'esperienza bibliotecaria, ma su una teoria solida, ben strutturata e, almeno nelle intenzioni di Dahlberg, "scientifica". Quale debba essere questa teoria è tuttora, giustamente, oggetto di discussione fra i diversi autori.

Dahlberg ha proposto come primo gradino una teoria dei concetti, in quanto unità semplici in base alle quali la conoscenza è organizzata (i concetti sono poi espressi da termini, i termini possono stare fra loro in varie relazioni, e venire organizzati in schemi alfabetici o sistematici). Ha inoltre puntato l'attenzione sulle categorie applicabili ai concetti, riferendosi sostanzialmente a quelle di Aristotele.

Branca della filosofia che si occupa di categorie è l'ontologia, che si propone di studiare la struttura del mondo reale, per così dire i tipi fondamentali di cose che esistono. Questa indagine può sembrare ardua ed astratta ai bibliotecari, ma è potenzialmente molto rilevante per l'organizzazione della conoscenza, come ha fatto notare negli ultimi anni l'ontologo trentino Roberto Poli. In effetti, anche la teoria della classificazione bibliografica ha individuato delle "categorie fondamentali", quali Tipi, Parti, Proprietà, Processi, Spazio, Tempo, che sono anche delle categorie ontologiche. Gli esperti di classificazione parlano ad esempio di relazioni genere-specie (biciclette-tandem) e relazioni intero-parte (biciclette-manubri), recentemente ridiscusse da Clare Beghtol, come elementi alla base degli alberi gerarchici di classificazione; Derek Austin ha proposto di completarle con le "relazioni quasi generiche" (specie appartenenti a un genere solo accidentalmente e temporaneamente, come una persona all'insieme dei passeggeri di un treno).

Dobbiamo dire che questo approccio ontologico all'organizzazione della conoscenza, che ha esponenti in Germania e anche in Italia (Negrini, Poli e... Gnoli), su scala internazionale non è invece troppo di moda. Prevale infatti un altro approccio, direi complementare: quello epistemologico, che indaga come l'organizzazione della conoscenza sia influenzata o addirittura determinata dalle strutture cognitive di chi crea gli schemi, le quali a loro volta dipendono dai limiti della mente umana, ma anche dalla cultura particolare a cui gli estensori appartengono. È noto per esempio che la Dewey e ancor più la Library of Congress classification riflettono categorie socio-culturali e pregiudizi invalsi negli Stati Uniti del 19esimo secolo, e autori come Hope Olson hanno evidenziato difetti nel trattamento dei punti di vista femminili o delle comunità marginalizzate.

Un'altra corrente di tipo epistemologico è l'analisi di dominio, che studia l'organizzazione della conoscenza come espressione di una comunità di ricercatori dediti a un certo settore, che sviluppano un proprio peculiare linguaggio e organizzano i loro concetti in base agli scopi pragmatici della loro attività. Questo approccio all'organizzazione della conoscenza è molto diffuso nell'Europa settentrionale, in particolare nella scuola danese, e ha il suo massimo alfiere nello stimato e prolifico Birger Hjørland. Si può osservare, in sintonia con Rick Szostak, che se da un lato queste analisi sono interessanti e appropriate, dall'altro è auspicabile lo sviluppo di sistemi di organizzazione della conoscenza che vadano aldilà delle specificità e dei gerghi di dominio, in modo da permettere a tutti gli utenti di effettuare ricerche anche in settori per loro meno familiari, e favorire l'interdisciplinarietà.

Tradizionalmente le classificazioni bibliografiche si fondano su una lista canonica di discipline, che però può essere limitata o poco aggiornata: si possono allora esplorare liste disciplinari alternative, come fa Giovanna Granata, o addirittura pensare a una classificazione non disciplinare.  Ma quale può essere il fondamento di una classificazione dei fenomeni conosciuti, se si prescinde dalle discipline in cui sono trattati? Qui torniamo all'approccio ontologico, perché cerchiamo dei criteri che derivino dai fenomeni stessi, e non dai modi in cui noi li conosciamo.

In ambito bibliografico, questa operazione è stata tentata per la prima volta negli anni Sessanta dal Classification Research Group, incaricato dalla NATO di studiare la possibilità di un nuovo schema di classificazione generale. Alcuni membri del CRG (probabilmente Barbara Kyle e Leo Jolley, ma poi più sistematicamente Douglas Foskett) hanno avuto l'idea di applicare alla classificazione la teoria dei livelli di integrazione, pubblicata in quegli anni da James Feibleman sul "British journal for the philosophy of science", ma già discussa in altre sedi da Joseph Needham e altri. La teoria dice che i fenomeni si possono ordinare in una sequenza di livelli di complessità crescente, ciascuno dei quali richiede i precedenti per esistere, ma vi aggiunge delle nuove proprietà caratteristiche solo del proprio livello. Poiché classificare è innanzitutto ordinare, questo offre un criterio con il quale organizzare i fenomeni.

Una prospettiva molto simile è contenuta nell'ontologia di Nicolai Hartmann, autore di lingua tedesca probabilmente sconosciuto al CRG, ma citato da Dahlberg e studiato a fondo da Poli. Secondo Hartmann sono quattro gli "strati dell'essere reale": fisico, biologico, psichico e spirituale, ciascuno articolato in livelli più specifici. Il lavoro di Hartmann si concilia bene con la conoscenza scientifica contemporanea e in particolare con il riconoscimento delle categorie della biologia come scienza autonoma: lo ha rilevato Konrad Lorenz, padre dell'etologia ma anche profondo  epistemologo, e mia prima fonte per l'idea dei livelli di integrazione. Hartmann insiste sulla comparsa di novità categoriali ai livelli man mano superiori, un processo che Lorenz ha proposto di chiamare folgorazione ma che è ormai largamente noto come emergenza.

Un'altra fonte per il CRG è stata la teoria generale dei sistemi, avanzata dall'austriaco americanizzato Ludwig von Bertalanffy: ogni oggetto si può considerare come un sistema, che ha delle componenti interne, una sua organizzazione, e delle relazioni con altri sistemi; in questo modo si possono astrarre e trattare matematicamente delle leggi che valgono per i sistemi in generale. Tra le caratteristiche dei sistemi, dice Bertalanffy, c'è il grado di meccanizzazione delle loro parti: più le parti si specializzano a servire un intero complesso e organizzato, come le api in un alveare, più riducono le loro funzioni a quelle di un semplice ingranaggio; se invece le parti conservano una certa autonomia, come i soci di un club, allora l'intero è meno strettamente integrato, è solo un aggregato.

L'innovativo schema abbozzato dal CRG purtroppo non è stato sviluppato oltre, anche se alcune idee sui livelli sono confluite nella seconda edizione della Classificazione bibliografica di Bliss, e altre sui sistemi nello strumento di indicizzazione alfabetica automatizzata PRECIS, usato per un certo tempo dalla British national bibliography. Un progetto di ricerca di ISKO Italia ha recuperato le originali pubblicazioni del CRG e sta provando ad applicarle alla ricerca classificata via web di alcune bibliografie specializzate.

Un'altra prospettiva filosofica che si può osservare in molte classificazioni, e nella sequenza stessa dei livelli di integrazione, è quella evoluzionistica. In questo caso non parliamo in senso specifico dei meccanismi evolutivi delle specie biologiche, ma dell'idea più vaga che tutti gli oggetti del mondo siano derivati da oggetti preesistenti attraverso un qualche processo storico. Questa idea è presente in molti filosofi di orientamenti assai diversi, più materialisti come Engels o più spiritualisti come Bergson.

Di solito pensiamo all'evoluzione come un processo dal più semplice al più complesso, anche se in realtà non è sempre così (i parassiti evolvendosi si sono molto semplificati rispetto ai loro antenati, per adattarsi al nuovo modo di vita). Possiamo allora notare come l'elemento interessante per la classificazione non sia tanto il tempo in sé, la successione cronologica (in un milione di anni possono succedere molte cose interessanti ma anche niente), quanto lo sviluppo di nuove forme di organizzazione. Passando da una forma all'altra, il parametro che aumenta, e che potremmo pensare di sfruttare per la classificazione, non è necessariamente il tempo, né la complessità assoluta, ma quello che il teorico dell'informazione Charles Bennett ha chiamato profondità logica.

Questo parametro rappresenta il fatto che il valore di un oggetto sta nel percorso che è stato necessario compiere per arrivare fin lì: se viene distrutto, non perdiamo solo l'oggetto in sé, ma anche il "lavoro evolutivo" precedente. Gli oggetti banali hanno scarsa profondità logica, e quindi li troviamo poco interessanti, mentre quelli elaborati attraverso un percorso costruttivo hanno maggior valore. Anche il disvelamento di questo percorso, cioè la spiegazione della natura degli oggetti, ha grande valore, perché ci permette di ricostruirli ed eventualmente riprodurli. La formalizzazione di queste proprietà richiederebbe conoscenze matematiche che non ho, ma intuitivamente sembra un principio promettente, dal quale potremmo ricavare nuovi criteri di riferimento per l'organizzazione dei fenomeni conosciuti.

 

 


Principi filosofici nell'organizzazione della conoscenza / Claudio Gnoli = (Classificare le scienze umane: il caso filosofia : seminario : Padova : 2 febbraio 2007) = (ISKO Italia. Documenti) -- <http://www.iskoi.org/doc/filosofia1.htm> : 2007.01.23 - 2007.02.15 -