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Organizzazione della conoscenza

Un neologismo quasi centenario

da AIDA informazioni, 24: 2006, n. 1-2, p. 81-84

di Claudio Gnoli


Qualcuno dei lettori potrà chiedersi dove mai vogliamo andare a parare nel momento in cui utilizziamo questo ennesimo termine mutuato dall'inglese: knowledge organization. Penserà che è un altro dei molti modi in cui ultimamente amiamo complicarci la vita (o con cui cerchiamo di vendere qualcosa), parlando di professionisti dell'informazione invece che di bibliotecari, di knowledge management invece che di servizi di documentazione, di metadati invece che di voci del catalogo, di ontologie invece che di tesauri, di portali invece che di siti web... Un tempo in Piemonte, a chi si lamentava di mangiare sempre polenta e merluzzo, si rispondeva che stavolta no, si trattava di torta di mais e pesce veloce del Baltico.

Per chi voglia tagliare corto, darò subito il quasi equivalente all'antica di knowledge organization: grossomodo, si tratta dell'indicizzazione per soggetto [1]. Con l'espressione knowledge organization system (KOS), infatti, vengono oggi raggruppati gli svariati strumenti e tecniche utilizzati nei più diversi ambienti per indicizzare il contenuto di documenti, quali parole-chiave, soggettari, tesauri, classauri, dizionari geografici (gazetteer), ontologie, strutture concettuali, tassonomie, schemi di classificazione generali e speciali, mappe tematiche (topic maps), mappe concettuali, e così via.

L'espressione organizzazione della conoscenza ha però anche una connotazione di ampliamento rispetto ai tradizionali àmbiti bibliotecari e documentalisti. Si intende infatti riferirsi alle strutturazioni concettuali che sono alla base, talvolta inconsapevolmente, dei modi in cui la conoscenza viene ripartita e fruita nella società. Non facciamo organizzazione della conoscenza solo quando assegnamo un soggetto a un libro, ma anche quando decidiamo i capitoli in cui si articola uno scritto, o indiciamo un convegno con un certo titolo, o istituiamo un dipartimento universitario con un dato nome, o stanziamo fondi per un dottorato di ricerca in una certa materia: se è possibile specializzarsi in fitogeografia ma non in etnobotanica è perché, per certe ragioni sia razionali che culturali, la didattica e la ricerca sono state strutturate in questo modo.

L'organizzazione della conoscenza ha perciò a che fare anche con la filosofia e la storia delle idee; e non a caso importanti filosofi di ogni epoca si sono interessati alla segmentazione del sapere in discipline e ai rapporti reciproci fra queste: basti pensare ad Aristotele, a cui dobbiamo ancora molte ripartizioni moderne delle scienze (le sue opere di meta-fisica furono chiamate così perché canonicamente successive a quelle di fisica ossia di scienze naturali), o alle visioni di Francis Bacon sull'organizzazione delle nascenti scienze, o al raffinato schema concettuale sottostante l'"Encyclopédie" degli illuministi.

Anzi, per poter essere trasmessa e fare nuovi progressi, la conoscenza stessa ha bisogno di essere periodicamente organizzata in modi sistematici: non basta accumulare idee a casaccio, occorre esprimerle in schemi sensati e comprensibili. Nelle parole di Herbert Spencer, «science is organized knowledge» [Essays on education, 1861]. Perciò il ruolo di chi si prende cura di questa organizzazione, rimasto piuttosto negletto nella cultura analitica del Novecento, è in realtà importante quanto quello di chi apporta singole conoscenze nuove. «L'intera vita dell'uomo è un tentativo di comporre nella propria mente un qualche sistema globale di conoscenza, e tutta la sua ricerca scientifica è rivolta a fornire i dati basilari sui quali poter costruire. Anche nei voli più elevati dell'immaginazione o dell'anima, nella Filosofia e nella Religione, l'uomo è un creatore di sistemi. Mi sembra quantomai naturale, perciò, che anche nella parte del suo lavoro che è dedicata all'immagazzinamento e al ritrovamento dell'informazione, egli debba andare in cerca di un sistema» [D.J. Foskett, Classification and indexing in the social sciences].

Tra gli studiosi moderni delle tecniche classificatorie, chi si interessò a fondo dei loro rapporti con le discipline come effettivamente si sviluppano nella comunità scientifica fu Henry Evelyn Bliss. A suo avviso, infatti, l'individuazione delle classi di un buono schema deve basarsi, più che su categorie astratte, sul consenso accademico tra gli studiosi che effettivamente si occupano di ciascun settore. Le diverse discipline poi, che corrispondono alle classi principali di uno schema di classificazione, dovrebbero essere disposte in una sequenza ottimale; questa si ottiene applicando il principio di gradazione della specificità: le discipline che trattano genericamente tutti gli aspetti della realtà, come la matematica, la fisica e la chimica, devono precedere quelle il cui oggetto è man mano più limitato e specializzato, come la biologia (che si occupa solo degli organismi e non degli oggetti inanimati), l'antropologia (che si occupa solo dell'uomo), le scienze politiche e così via. Oltre che applicarle in un proprio schema di classificazione, la Bibliographic Classification (BC1), Bliss formulò queste idee in due importanti testi generali, intitolati giustappunto "The organization of knowledge and the system of the sciences" e "The organization of knowledge in libraries and the subject approach to books", pubblicati rispettivamente nel 1929 e nel 1933.

Il nostro "neologismo", dopotutto, non è nato ieri. La sua fortuna è comunque cresciuta soprattutto negli ultimi decenni, con le sorti di un'associazione internazionale dedicata a questi temi. Un gruppo di studiosi era attivo in Germania già dal 1977 sotto il nome di Gesellschaft für Klassifikation (Società per la classificazione): tra loro si distingueva Ingetraut Dahlberg, studiosa che aveva fondato la rivista "International classification" e pubblicato un altro testo importante sui fondamenti teorici e concettuali degli schemi universali del sapere, i "Grundlagen universaler Wissensordnung", tradotto nel sommario interno in "Fundamentals of universal organization of knowledge".

In seguito, nella Gesellschaft für Klassifikation hanno prevalso orientamenti più tecnico-statistici (quelli su cui sono impostati anche i sistemi di classificazione automatica), e chi è più interessato alla strutturazione concettuale delle conoscenze ha sentito il bisogno di creare un'entità staccata, che al contempo vada oltre l'ambito nazionale. Il 22 luglio 1989 gli scismatici si incontrano a Francoforte per costituirla e stabilirne il nome: per distinguerla dall'associazione precedente, si vuole evitare di usare la parola classificazione. La Dahlberg suggerisce allora di utilizzare i termini dei libri di Bliss, knowledge organization, ma è perplessa sul fatto che la sigla KO potrebbe richiamare le connotazioni negative derivate dal pugilato! Ma Robert Fugmann, un altro dei fondatori, ritiene che nel contesto del mondo dell'informazione questo problema non sussista. Nasce così l'International Society for Knowledge Organization (ISKO), e la rivista "International classification" viene ribattezzata "Knowledge organization".

Da allora l'ISKO è un riferimento importante per tutti coloro che sono interessati all'organizzazione del sapere. Un congresso internazionale viene organizzato ogni due anni (il nono è quest'anno a Vienna), e in vari paesi nascono delle sezioni nazionali: attualmente sono attive soprattutto quelle di Spagna, Francia, Italia e naturalmente Germania, pur se non mancano studiosi e scuole importanti anche in Canada, Stati Uniti, Gran Bretagna, Danimarca, India...

Nato in un ambiente prevalentemente cartaceo, il nostro acronimo si va oggi diffondendo anche nelle attività digitali. In questo ambiente infatti ha già due "figli", battezzati NKOS e SKOS.

L'iniziativa NKOS, Networked Knowledge Organization Systems/Services, si propone come una rete di informazione e discussione sulle strategie per «mettere in grado i sistemi per l'organizzazione della conoscenza di fungere da servizi informativi in rete interattivi a supporto della descrizione e del recupero di risorse informative svariate attraverso Internet». Su questi temi vengono promossi workshop nell'ambito di congressi internazionali (JCDL, ECDL, Dublin Core), e pubblicati numeri monografici della "New review of hypermedia and multimedia" diretta da Douglas Tudhope.

Un primo frutto di questo tipo di lavoro è SKOS, Simple Knowledge Organization Systems. Si tratta di uno standard, messo a punto dal World Wide Web Consortium attraverso un gruppo di lavoro telematico aperto a qualsiasi contributo e coordinato da Alistair Miles, che si propone di codificare le strutture semantiche dei KOS in una sintassi RDF, quindi potenzialmente sfruttabile per gli scopi del Web semantico. La seconda bozza è stata pubblicata il 2 novembre 2005, e contiene sostanzialmente la sintassi per registrare le relazioni tesaurali sottoforma di proprietà RDF, quali broader, narrower, related o scopeNote. Tra i primissimi in Italia, la Biblioteca Rostoni della LIUC ha cominciato a sperimentare l'applicazione di SKOS al proprio tesauro.

Sarà molto interessante seguire gli sviluppi di SKOS, per verificare se porterà finalmente verso l'auspicabile integrazione tra le tecniche tradizionali e quelle digitali (ad esempio estendendosi per includere anche stringhe di soggetto e simboli di classificazione). Il concetto di organizzazione della conoscenza, che sembra accettato dai ricercatori di entrambi i settori, può oggi risultare utile come collante fra iniziative e linguaggi che sono altrimenti molteplici e dispersivi. In questa rubrica cercheremo di presentare di volta in volta qualche aspetto delle tecniche di organizzazione della conoscenza, sia nelle loro radici teoriche che nelle prospettive contemporanee di applicazione tecnologica.

 

Note

1: "Indicizzazione semantica" nella pubblicazione originale. L'autore preferisce ora evitare quest'ultima espressione, in voga presso i bibliotecari italiani nei decenni scorsi, per evitare confusione con il diverso senso di semantico invalso tra gli informatici negli ultimi anni.

 


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